[…] Guardate: mettiamo a confronto la produzione industriale italiana e tedesca in periodi di cambio fisso e cambio variabile. Osservate il miracolo prodotto dall’uscita dallo SME, tra il 1992 e il 1996, sulla forbice tra i due dati, e poi come la forbice si sia allagata nuovamente a nostro svantaggio dal 1999 in poi, proprio con l’entrata dell’euro.
Invece di portare ad una maggiore coesione l’euro ha diviso e separato gli stati membri nel classico schema che vede i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Per vedere un cambiamento in questo trend sono necessarie riforme che non vedremo mai, non stiamo parlando di alzare l’età pensionabile di un paio d’anni o una maggiore facilitazione ai licenziamenti. Qui sarebbe necessario ridurre la spesa pubblica licenziando da un 20 ad un 40% degli impiegati statali e il costo del lavoro dovrebbe scendere di un altro 20% in relazione al costo unitario tedesco, ci sono zero possibilità che queste riforme vengano mai realizzate.
La triste verità è che non è possibile mantenere un tasso di cambio fisso tra nazioni che hanno differenti tassi produttivi di crescita, differenti sistemi sociali e differenti accordi politici. Niente potrà mai cambiare questa realtà.
Ancora zerohedge, ci dice chiaramente che non potendo svalutare la propria moneta, la maggior parte dei paesi europei avrà bisogno di vedere salire la disoccupazione e crollare i salari tra il 30% (Italia, Spagna e Francia) e il 50% (Grecia e Portogallo) per ottenre un riequilibrio macroeconomico con la Germania e per essere “competitivi”. […]
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27 Febbraio 2013
la Sinistra: sinistramente fortunata (e china sui propri errori)
territoriarchico bersani, quelli-del-pd Partitica
[…] Questo non vuol dire, però, che non sia stupito anch’io. Solo che è un’altra la cosa che mi stupisce. Non il fatto che Bersani, pur vincendo (il premio di maggioranza), sia il grande perdente di questa tornata elettorale: questo non era scontato, ma era nell’ordine delle cose prevedibili. Quello che, ancora oggi, continua a suscitare il mio stupore è invece il fatto che la sinistra, questa sinistra un tempo egemonizzata dal Pci e ora tenuta insieme dagli ex comunisti, sia assolutamente incapace di imparare dai propri errori. E quindi sia, per così dire, rigidamente programmata per ripeterli, cocciutamente e senza alcuna speranza di imparare alcunché dal proprio passato.
E dire che, per capire quali fossero gli errori da evitare, non ci voleva una mente molto raffinata. Il più grave, spiace dover sottolineare una simile ovvietà, è quello di non ascoltare la gente. Bersani ha offerto affidabilità, credibilità, rassicurazione (il famoso «usato sicuro») a un elettorato che, semplicemente, voleva prima di tutto un’altra cosa: un rinnovamento radicale della politica. Eppure quella richiesta di cambiamento era chiarissima e antica, visto che aveva già preso forma più di dieci anni fa (era il 2002), con la famosa invettiva-profezia di Nanni Moretti in piazza Navona: «Con questi dirigenti non vinceremo mai!».
Perché non hanno saputo o voluto ascoltare questo sentimento, che pure attraversa il popolo di sinistra da così tanti anni? Perché la classe dirigente della sinistra non impara mai dai propri errori? Perché non ascolta il suo elettorato?
Me lo sono chiesto tante volte, perché anch’io – se molte cose cambiassero – potrei esserne parte. E la conclusione cui sono arrivato è che la ragione vera, la ragione profonda, per cui la sinistra non sa ascoltare è una soltanto: è la fortuna. La sinistra può permettersi – o meglio: si è potuta permettere finora – di ignorare completamente il suo popolo per la sfacciata fortuna che la accompagna. La sinistra è come Gastone Paperone: almeno nella seconda Repubblica è stata così fortunata da potersi sottrarre a ogni controllo di realtà. […]
(via laStampa.it – Luca Ricolfi)
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