giugno 2013
29 Giugno 2013
pacate riflessioni sul bisogno di indipendenza del Veneto
territoriarchico veneto-indipendente, verso-l'-indipendenza Indipendenza
24 Giugno 2013
differenziali di crescita del PIL tra Italia, Unione Europea e Mondo (o del declino dell’Italia)
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FOCUS ITALIA IN EUROPA
Confrontando i dati dell’Italia e della UE-27 si nota che L’Italia fino a meta’ anni 90 cresceva come la media europea, mentre dopo quel periodo (che coincide con la creazione dell’Euro) e’ iniziato un progressivo tracollo, in particolare dal 2005 in poi (data in cui le riforme in Germania del mercato del lavoro Hartz hanno avuto le massime conseguenze).
FOCUS ITALIA NEL MONDO: CRONACA DI UN SUICIDIO
Confrontando i dati dell’Italia e del Mondo si nota che L’Italia perdeva peso rispetto alla media mondiale al ritmi di 1% – 1,5% di PIL all’anno. Dal 2005 il collasso, con perdite dell’ordine del 4% – 4,5% di PIL all’anno.
Appare evidente che il Bel Paese stia facendo una serie di politiche sostanzialmente suicide su tutti i fronti (economici, politici, sociali, demografici), e che le scelte economiche di fondo dell’Italia (di politica fiscale e burocratica, di scarsa efficienza della spesa, di adozione dell’Euro, di mancata gestione della dinamica debito pubblico) stanno facendo crollare l’Italia.
(leggi tutto su scenarieconomici.it – Il declino dell’Europa (ed ancor piu’ dell’Italia) in 4 grafici)
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6 Giugno 2013
A cosa servono alla Repubblica italiana le forze armate? Per mostrare i muscoli ai suoi stessi cittadini …
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A cosa servono alla Repubblica italiana forze armate che quest’anno costano al contribuente la bellezza di 17,64 miliardi di Euro? A cosa serve mantenere 177.300 militari (poliziotti vari esclusi) che costano 9,68 miliardi di Euro: 54.597 Euro ciascuno? A cosa serve avere più generali in proporzione di qualsiasi altro esercito del mondo? […]
Ma a cosa serve tutta questa costosa paccottiglia? Chi si deve assalire?
Le missioni di pace (si fa molto per dire) all’estero costano un miliardino. Hanno anche raccontato di avere contribuito a fare economia: quest’anno la parata del 2 giugno è costata “solo” due milioni di Euro contro i 2,6 dello scorso anno. In particolare sembra che non si siano esibite le frecce tricolori con grande malinconia del Quirinale.
Ma a parte questo risparmietto, l’Italia continua a spendere una montagna di quattrini per mostrare i muscoli verso l’esterno (ma a chi?), ma soprattutto ai suoi stessi cittadini. Il messaggio è piuttosto chiaro: nessuno pensi di riprendersi il maltolto perché il malloppo rapinato ai cittadini padani è sorvegliato da una ben equipaggiata e ben pagata guarnigione di armigeri, tutti molto italiani.
(leggi tutto su L’Indipendenza – Gilberto Oneto)
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3 Giugno 2013
Luca Ricolfi: soldi ai partiti e significato delle parole
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Soldi ai partiti e significato delle parole
Luca Ricolfi
Sul finanziamento pubblico dei partiti si possono avere le idee più diverse. Oggi, come vent’anni fa, è molto popolare l’idea che debba essere abolito integralmente. Ma anche l’idea opposta, e cioè che qualche forma di finanziamento pubblico debba esserci, è tutt’altro che priva di buone ragioni.
Qui vorrei non entrare nel merito della questione, perché tanto ognuno resta della propria idea.
E quale sia la mia opinione personale è del tutto irrilevante. Quello che però vorrei dire con forza è che, come cittadino, ho trovato offensiva – per non dire beffarda – l’impostazione del disegno di legge appena proposto dal governo. Provo a spiegare perché.
Il primo articolo del disegno di legge recita «E’ abolito il finanziamento pubblico dei partiti». Nella lingua italiana la parola «abolito», in assenza di ulteriori qualificazioni, significa soppresso, tolto, eliminato, azzerato.
Inoltre, per il cittadino italiano medio, la parola «finanziamento pubblico dei partiti» designa l’insieme di risorse pubbliche che affluiscono ai partiti: rimborsi elettorali, finanziamento dei gruppi politici a livello centrale e locale, agevolazioni fiscali e tariffarie, contributi alla stampa di partito. Dunque, il cittadino pensa: i partiti non avranno più soldi pubblici, e se vorranno essere finanziati i soldi dovranno chiederceli direttamente.
Leggendo il Disegno di legge, invece, si scopre che le cose non stanno così. Nel 2013 non cambia nulla. Nel 2014, se il Disegno di legge sarà approvato entro quest’anno, i rimborsi elettorali attuali cominceranno ad essere limati un po’, e spariranno del tutto solo nel 2017 (nel 2018 se il Disegno di legge dovesse essere approvato solo nel 2014). In compenso, fin dal 2014 scatteranno agevolazioni fiscali alle donazioni private, nonché finanziamenti ai partiti attraverso un meccanismo di «destinazione volontaria del 2 per mille dell’imposta sul reddito». Non solo: lo Stato assicurerà alle forze politiche la disponibilità di locali e spazi televisivi.
Non è necessario entrare nei dettagli del disegno di legge per rendersi conto di almeno quattro cose.
Primo. Il disegno di legge non tocca né il finanziamento dei gruppi parlamentari, né il finanziamento dei gruppi dei Consigli regionali, due voci molto consistenti del finanziamento pubblico ai partiti.
Secondo. Lo Stato continuerà a sostenere dei costi per il finanziamento dei partiti, sia in forma diretta, sia in forma indiretta (le detrazioni fiscali, l’uso di immobili, gli spazi televisivi hanno un costo).
Terzo. Nel triennio transitorio (2014-2016), nulla assicura che la decurtazione dei rimborsi elettorali non venga compensata, o addirittura più che compensata, dal meccanismo del 2 per mille.
Quarto. Anche a regime (dal 2017 o dal 2018), nulla esclude che il finanziamento possa essere uguale o superiore a quello previsto dalla legislazione attuale, dovuta al governo Monti (l’articolo 4, anziché fissare un tetto preciso all’uso del 2 per mille, dice che la spesa non potrà superare «XXX», una cifra indeterminata che potrebbe persino essere maggior di quella attuale).
Ecco perché dicevo all’inizio che ho trovato offensivo l’articolo 1 che recita «E’ abolito il finanziamento pubblico dei partiti».
No. Questo disegno di legge prova a ridisegnare una parte del finanziamento pubblico dei partiti secondo nuovi principi (proprio come aveva auspicato Bersani in campagna elettorale), ma non lo abolisce affatto. Berlusconi e Renzi, a parole paladini dell’abolizione totale, devono farsene una ragione. Può anche darsi che alla fine i partiti costino al contribuente un po’ di meno di oggi, ma nulla fa pensare che costeranno molto di meno o che costeranno nulla.
Perciò, una sola preghiera. Cari politici, che quando ci aumentate le tasse vi rifugiate codardamente dietro il verbo «rimodulare», ora che state effettivamente rimodulando il finanziamento dei partiti abbiate almeno il coraggio di non usare il verbo «abolire». Perché abolire vuol dire abolire, abolire, abolire (direbbe Gertrude Stein), e se voi dite «abolire» quando non state abolendo affatto, noi ci sentiamo presi in giro. Insomma, se proprio non riuscite ad avere rispetto per noi, abbiatene almeno per la lingua italiana.
(via La Stampa.it)
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3 Giugno 2013
Finanziamento ai partiti, Letta ha finito la corsa
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Finanziamento ai partiti, Letta ha finito la corsa
di Pierluigi Magnaschi
Se il governo delle larghe intese propone delle leggi sul finanziamento dei partiti del tipo di quella presentata ieri e poi dice che «entro tre anni cesserà il finanziamento dei partiti» vuol dire non solo che il governo è legato mani e piedi dai partiti novecenteschi che lo reggono (questo, in fondo, lo si sapeva), ma che, in più, di suo, ci mette anche il desiderio di prendere per i fondelli i votanti anche dopo che il 50 per cento degli elettori, schifati dalla politica, hanno deciso di non partecipare al rito, sempre più vuoto delle elezioni.
Che il rito delle elezioni sia sempre più vuoto lo dimostra il referendum tenutosi vent’anni fa (1993) proprio per cancellare il finanziamento dei partiti. In quell’occasione, ben 34 milioni di italiani ingiunsero al parlamento di cassare gli stanziamenti sino a quel punto previsti. I politici invece, lungi dall’eliminare il finanziamento ai partiti, lo hanno aumentato a dismisura. Infatti, mentre il paese, tra il 2001 e il 2010, si impoveriva, con un pil che si contraeva del 4%, i rimborsi elettorali pubblici aumentavano del 182%. Non solo, nel gonfiare i fondi, si faceva anche una cosciente violenza alle parole. Rimborso infatti, in italiano, e nel normale linguaggio contabile, significa che, a fronte di spese giustificate e documentate, l’ente erogatore provvede a rifonderle. Sennonché i partiti, che non documentano un bel niente, ottengono, non a caso, come rimborsi spese delle somme molto più alte di quelle sostenute e non sono sottoposti a controlli contabili credibili.
Adesso Letta dice che nel giro di tre anni cesseranno i finanziamenti ai partiti, ma essi saranno sostituiti da erogazioni da sottrarsi alle dichiarazioni dei redditi come se queste somme non fossero il frutto di imposte pagate e che prendono una via diversa rispetto a quella che porta alle casse dello stato. Tre anni sono, probabilmente, più del tempo che resta a questo governo, facile quindi prevedere che questo disegno di legge difficilmente sarà approvato. Letta, insomma, si comporta come quel tizio che aveva confessato di aver rubato una corda: «Ma perché mi fa perdere del tempo per questa sciocchezza», disse il confessore: «È che, alla corda, c’era attaccata una mucca».
(via ItaliaOggi)
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3 Giugno 2013
4 Premi Nobel (Paul Krugman, Milton Friedman, Joseph Stigliz, Amartya Sen): “l’Euro e’ una patacca”
territoriarchico euro-valuta, uscita-dall-euro Europatia
2 Giugno 2013
Crescita mondiale del PIL 2013/14: le stime OCSE per ogni nazione
territoriarchico PIL, PIL-italia Economia e Finanza
Nel suo twice-yearly Economic Outlook, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), stima una crescita mondiale del 3,1% nel 2013 e 4% nel 2014. Su scala planetaria, come sempre, l’area Euro e’ quella a crescita inferiore, con calo generalizzato delle nazioni periferiche.
(via Rischio Calcolato)
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30 Giugno 2013
Veneto, il referendum non è una questione di partito
territoriarchico veneto-indipendente, verso-l'-indipendenza Indipendenza, Italianide
di ROBERTO CIAMBETTI
“Tutte le questioni sospese all’interno di ogni Paese devono essere risolte con mezzi pacifici e attraverso il dialogo, rispettando la reale volontà delle persone coinvolte” Con queste parole Ban- Ki-moon, segretario generale dell’Onu rispose nello scorso aprile ai giornalisti che in Andorra gli chiedevano una dichiarazione sui referendum indipendentisti di Catalunya e Scozia: “Le nazioni Unite rispettano i processi di autodeterminazione” rimarcò Bn-Ki-moon con chiarezza.
Per quanto riguarda la Scozia il referendum si terrà nel 2014, mentre in Catalunya il presidente Artur Mas rispondendo alla stampa giovedì scorso ha ribadito che cercherà di “esaurire tutti i meccanismi possibili” per raggiungere un accordo con il governo spagnolo per arrivare al referendum sull’indipendenza catalana e formalizzerà la sua richiesta entro luglio: come in Italia anche in Spagna si cerca di bloccare il referendum sostenendo il principio costituzionale immodificabile dell’unità della nazione.
Ero presente di persona alle dichiarazioni in sala stampa del Palau de la Generalitat e posso dire che Mas era sereno e per nulla preoccupato dalle defezioni dal fronte referendario di alcune forze politiche, Popolari fra i primi richiamati all’ordine dalla casa madre di Madrid.
Il ragionamento del Presidente catalano è chiaro: il referendum non è questione di partiti, è un diritto del cittadino e il principio di autodeterminazione prevale su quello dell’unità nazionale Una vasta area dell’opinione pubblica catalana, trasversale alle forze politiche e interclassista è dichiaratamente indipendentista ed è sinceramente stanca di Madrid. Stanca, arrabbiata, ferita da una crisi economica che a Barcellona, morde, crea problemi sociali, che potrebbero essere affrontati diversamente se solo i catalani non fossero contribuenti netti dello stato spagnolo.
Xavier Trias, che proprio lunedì prossimo festeggerà il primo biennio da sindaco di Barcellona, mi ha confermato che i suoi cittadini hanno un residuo fiscale di circa 2.700 €: avreste dovuto vedere la sua espressione quando gli ho detto che in Veneto superiamo invece i 4 mila € pro-capite tra quanto versiamo all’erario e quanto la Pa spende nella nostra regione.
Sia veneti che catalani sono contribuenti netti, versano più di quanto ricevano e difficilmente i governi italiani e spagnoli perderanno tanto facilmente i loro principali finanziatori: quale pirata rinuncia alla sua Isola del tesoro?
Il problema del referendum, a Madrid come a Roma, non è una questione di diritto, ma di soldi, quelli che verrebbero meno alle casse statali dei due Paesi costringendoli a dover rivedere pesantemente le loro finanze e abbattere quell’architettura complessa di privilegi, perché, come spiegava bene Sergio Romano: “Esiste una nomenklatura politica, amministrativa, economica, sindacale, per cui l’Italia deve restare ‘una e indivisibile’. Per coloro che ne fanno parte non è soltanto una patria: è anche un grande collegio elettorale, un serbatoio di voti, un datore di lavoro, la ragione sociale del loro mestiere”.
Fino a quando il malgoverno potrà contare sui soldi delle Regioni virtuose né l’amministrazione centrale, né le aree malgovernate avranno alcun motivo per affrontare ogni riforma, ogni spending review, ogni taglio strutturale alla spesa.
Per difendere l’inefficienza e lo spreco ogni arma è buona: ci si appella alla Costituzione, ma non è per amore di diritto e di giustizia, né per intelligenza o cultura, bensì semplicemente per interesse anche se ciò rischia di portare l’intero paese alla rovina separandolo dall’Europa per consegnarlo al sottosviluppo. E’ un rischio reale, perché le galline dalle uova d’oro possono anche morire di sfinimento. Roma non difende la Costituzione, ma il portafoglio. Il suo, s’intende.
Assessore Regione Veneto
(via L’Indipendenza)
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