Analisi socio-politiche
31 Agosto 2015
OECD: migranti e loro figli nel mondo 2015
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20 Ottobre 2013
il fallimento di una classe dirigente
territoriarchico verso-il-default, verso-la-bancarotta Analisi socio-politiche, Gemme di Saggezza, Italianide, Perché Secedere
Non sappiamo se l’Italia serva ancora a qualcosa, oltre a dare il nome a una nazionale di calcio e a pagare gli interessi del debito pubblico. Abbiamo dunque bisogno di una classe dirigente che – messa da parte la favola bella della fine degli Stati nazionali e l’alibi europeista, che negli ultimi vent’anni è perlopiù servito solo a riempire il vuoto ideale e l’inettitudine politica di tanti – si compenetri della necessità di un nuovo inizio. Ripensi un ruolo per questo Paese fissando obiettivi, stabilendo priorità e regole nuove: diverse, assai diverse dal passato. Mai come oggi, infatti, abbiamo bisogno di segni coraggiosi di discontinuità, di scommesse audaci sul cambiamento, di gesti di mutamento radicale.
(leggi tutto su il Corriere della Sera – E. G. della Loggia
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5 Agosto 2013
ci vorrebbe una marcia dei 40 milioni
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È già successo 21 anni fa, con Mani pulite e la fine della prima Repubblica, sta risuccedendo ora, con la sentenza della Cassazione su Berlusconi e la fine della seconda Repubblica. La storia, in Italia, la scrive la magistratura, mentre la politica la subisce. In molti pensano, non senza qualche buona ragione, che sia la magistratura ad aver esondato nel la politica. Ma la realtà è che è innanzitutto la politica ad essersi esposta all’alluvione giudiziaria, che ora la sta sommergendo per la seconda volta.
Ai politici non piace sentirselo dire, ma la causa fondamentale dello strapotere della magistratura è proprio la politica. E lo è in tutte le sue forme ed espressioni. E’ la politica (tutta la politica) che non ha saputo riformarsi, né dopo tangentopoli (1992), né dopo il referendum radicale che aveva tentato di cancellare il finanziamento pubblico dei partiti (1993), né dopo il trionfo del Movimento Cinque Stelle alle ultime elezioni. […]
Se oggi siamo a questo punto non è perché la magistratura non ha permesso alla politica di governare, ma perché l’incapacità di un intero ceto politico di governare e di decidere ha dato alle vicende giudiziarie uno spazio abnorme nella nostra storia.[…]
Quando, come avviene da qualche settimana, si parla di segnali di ripresa, si dovrebbero sempre ricordare due cose. La prima è che la cosiddetta ripresa è tale rispetto al tonfo del 2012, un tonfo che in 12 mesi ha raddoppiato il numero delle famiglie in difficoltà: siamo come una pallina da tennis che è caduta in un pozzo di 10 metri di profondità e si compiace di essere rimbalzata di 30 centimetri sul fondo del pozzo. La seconda cosa da ricordare è che, nonostante lo spread sia sotto quota 300, il rating del debito pubblico dell’Italia è di nuovo a un passo dal baratro, dove il baratro è il punto nel quale i buoni del tesoro vengono classificati come spazzatura (junk bonds) e gli investitori istituzionali sono obbligati a venderli in massa, con conseguente rischio di un default dell’Italia. Alcuni osservatori paiono non rendersi conto che il fatto che le agenzie di rating abbiano sbagliato in passato non implica logicamente né che stiano sbagliando di nuovo, né che il loro giudizio sull’Italia – giusto o sbagliato che sia – sia destinato ad essere ignorato dai mercati, dagli operatori esteri e dai fondi pensione.
(leggi tutto su LaStampa.it – Luca Ricolfi)
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2 Marzo 2013
“Non possiamo più permetterci un governo di cialtroni“ – intervista a Luca Ricolfi
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[…] Vede possibili spazi per interventi finalizzati ad allontanare lo scenario della conservazion dello status quo e lo spettro “greco” o weimariano che ne rappresenta il frutto inevitabile?
Sono piuttosto pessimista. Partendo da una prospettiva realistica non riscontro nessuna possibilità effettiva. Se non si è voluta e potuta realizzare alcuna autentica innovazione negli ultimi vent’anni, perché si dovrebbe iniziare adesso? La possibilità di un’uscita di sicurezza ci sarebbe. Fra tutte le proposte politiche, la più convincente è a mio giudizio quella portata avanti da Matteo Renzi, imperniata su una miscela intelligente e coraggiosa di liberismo, orientato a liberare i produttori dal fardello fiscale e statalista che li opprime, e di socialdemocrazia, volta a completare e rendere davvero universale il nostro Stato sociale, eliminando sprechi intollerabili come i 10 miliardi di euro annui di false pensioni di invalidità e gli 80 miliardi di sprechi nella pubblica amministrazione. Un progetto limpidamente alternativo alla visione di puro mercato promossa da Renato Brunetta e Oscar Giannino, e allo statalismo costruito su una forte pressione tributaria incarnato da Mario Monti e da Pier Luigi Bersani. Era un punto di equilibrio che esisteva solo nel programma concepito dal sindaco di Firenze, rispetto a una destra e a una sinistra estremiste. La prima priva della volontà e della capacità di realizzare le riforme liberali invocate sulla carta, la seconda guidata dalla filosofia del deficit spending e dell’aumento delle tasse, non in grado di affrontare il totem intoccabile della spesa pubblica, ritenuta oggi più che mai la leva prioritaria per promuovere crescita e creazione di lavoro. Ma la scommessa promossa da Renzi poteva essere valida fino a tre mesi fa. Rilanciare la sua centralità ora, dopo averla emarginata e averne distrutto la base elettorale nel Partito democratico, è un’idea un po’ peregrina. […]
[…] Avere negato da parte della leadership democratica l’esistenza e l’emergenza dell’oppressione fiscale sul mondo produttivo, rifiutando di proporre la netta riduzione del peso delle tasse, può aver provocato nel ceto medio un rigetto della proposta progressista, spingendo fasce sociali rilevanti di nuovo nel centro-destra?
Senza dubbio. E quel rifiuto è stato consapevole, per nulla inconscio. Sul versante dell’Imu ad essere toccato è il reddito familiare e personale. Ed è probabilmente accaduto che molti pensionati con 700 euro di assegno mensile ma proprietari di un’abitazione di livello medio-alto ereditata hanno votato con convinzione per il Cavaliere. L’altro tema fiscale prioritario riguarda la chiusura quotidiana di centinaia di aziende e attività produttive perché i pochi margini di profitto sono assorbiti dalla voracità del fisco, Ires e Irap. Anche i protagonisti di questo tessuto imprenditoriale si sono orientati alla fine verso Berlusconi. Si tratta di due terreni distinti con un identico sbocco politico-elettorale. Consideri che nel 2011 le famiglie in serie difficoltà economiche erano 3-4 milioni, il 15 per cento del totale. Ma dopo l’esperienza del governo Monti, appoggiato lealmente fino all’ultimo dal Pd e non dal Cavaliere, sono schizzate oltre il 30 per cento: circa 8 milioni di famiglie su 23, in pratica una famiglia su tre. E la rivolta contro l’imposta sulla proprietà abitativa ha inciso maggiormente ai fini elettorali. Il gruppo dirigente del Pd, che pure ebbe a parlare di macelleria sociale all’epoca delle timide manovre finanziarie di Giulio Tremonti, non è apparso consapevole della gravità del fenomeno. Agli occhi di numerosi cittadini il leader del centro-destra è sembrato invece accorgersi di un problema concreto, rispetto ai discorsi vacui del numero uno del Nazareno sulla redistribuzione, l’equità sociale, l’Italia giusta, il bene comune.
(Leggi tutto su Linkiesta)
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2 Settembre 2015
quote di giovani (16-29) che combinano assieme lavoro e studio (paesi OECD)
territoriarchico grafici-vari, mercato-del-lavoro Analisi socio-politiche, Mercato del Lavoro
OECD: A picture of working students in OECD countries