Finanziamento ai partiti, Letta ha finito la corsa
di Pierluigi Magnaschi
Se il governo delle larghe intese propone delle leggi sul finanziamento dei partiti del tipo di quella presentata ieri e poi dice che «entro tre anni cesserà il finanziamento dei partiti» vuol dire non solo che il governo è legato mani e piedi dai partiti novecenteschi che lo reggono (questo, in fondo, lo si sapeva), ma che, in più, di suo, ci mette anche il desiderio di prendere per i fondelli i votanti anche dopo che il 50 per cento degli elettori, schifati dalla politica, hanno deciso di non partecipare al rito, sempre più vuoto delle elezioni.
Che il rito delle elezioni sia sempre più vuoto lo dimostra il referendum tenutosi vent’anni fa (1993) proprio per cancellare il finanziamento dei partiti. In quell’occasione, ben 34 milioni di italiani ingiunsero al parlamento di cassare gli stanziamenti sino a quel punto previsti. I politici invece, lungi dall’eliminare il finanziamento ai partiti, lo hanno aumentato a dismisura. Infatti, mentre il paese, tra il 2001 e il 2010, si impoveriva, con un pil che si contraeva del 4%, i rimborsi elettorali pubblici aumentavano del 182%. Non solo, nel gonfiare i fondi, si faceva anche una cosciente violenza alle parole. Rimborso infatti, in italiano, e nel normale linguaggio contabile, significa che, a fronte di spese giustificate e documentate, l’ente erogatore provvede a rifonderle. Sennonché i partiti, che non documentano un bel niente, ottengono, non a caso, come rimborsi spese delle somme molto più alte di quelle sostenute e non sono sottoposti a controlli contabili credibili.
Adesso Letta dice che nel giro di tre anni cesseranno i finanziamenti ai partiti, ma essi saranno sostituiti da erogazioni da sottrarsi alle dichiarazioni dei redditi come se queste somme non fossero il frutto di imposte pagate e che prendono una via diversa rispetto a quella che porta alle casse dello stato. Tre anni sono, probabilmente, più del tempo che resta a questo governo, facile quindi prevedere che questo disegno di legge difficilmente sarà approvato. Letta, insomma, si comporta come quel tizio che aveva confessato di aver rubato una corda: «Ma perché mi fa perdere del tempo per questa sciocchezza», disse il confessore: «È che, alla corda, c’era attaccata una mucca».
(via ItaliaOggi)
3 Giugno 2013
Luca Ricolfi: soldi ai partiti e significato delle parole
territoriarchico basta-casta, finanziamento-partiti, governo-letta Castitudine, Partitica, Struttura dello Stato
Soldi ai partiti e significato delle parole
Luca Ricolfi
Sul finanziamento pubblico dei partiti si possono avere le idee più diverse. Oggi, come vent’anni fa, è molto popolare l’idea che debba essere abolito integralmente. Ma anche l’idea opposta, e cioè che qualche forma di finanziamento pubblico debba esserci, è tutt’altro che priva di buone ragioni.
Qui vorrei non entrare nel merito della questione, perché tanto ognuno resta della propria idea.
E quale sia la mia opinione personale è del tutto irrilevante. Quello che però vorrei dire con forza è che, come cittadino, ho trovato offensiva – per non dire beffarda – l’impostazione del disegno di legge appena proposto dal governo. Provo a spiegare perché.
Il primo articolo del disegno di legge recita «E’ abolito il finanziamento pubblico dei partiti». Nella lingua italiana la parola «abolito», in assenza di ulteriori qualificazioni, significa soppresso, tolto, eliminato, azzerato.
Inoltre, per il cittadino italiano medio, la parola «finanziamento pubblico dei partiti» designa l’insieme di risorse pubbliche che affluiscono ai partiti: rimborsi elettorali, finanziamento dei gruppi politici a livello centrale e locale, agevolazioni fiscali e tariffarie, contributi alla stampa di partito. Dunque, il cittadino pensa: i partiti non avranno più soldi pubblici, e se vorranno essere finanziati i soldi dovranno chiederceli direttamente.
Leggendo il Disegno di legge, invece, si scopre che le cose non stanno così. Nel 2013 non cambia nulla. Nel 2014, se il Disegno di legge sarà approvato entro quest’anno, i rimborsi elettorali attuali cominceranno ad essere limati un po’, e spariranno del tutto solo nel 2017 (nel 2018 se il Disegno di legge dovesse essere approvato solo nel 2014). In compenso, fin dal 2014 scatteranno agevolazioni fiscali alle donazioni private, nonché finanziamenti ai partiti attraverso un meccanismo di «destinazione volontaria del 2 per mille dell’imposta sul reddito». Non solo: lo Stato assicurerà alle forze politiche la disponibilità di locali e spazi televisivi.
Non è necessario entrare nei dettagli del disegno di legge per rendersi conto di almeno quattro cose.
Primo. Il disegno di legge non tocca né il finanziamento dei gruppi parlamentari, né il finanziamento dei gruppi dei Consigli regionali, due voci molto consistenti del finanziamento pubblico ai partiti.
Secondo. Lo Stato continuerà a sostenere dei costi per il finanziamento dei partiti, sia in forma diretta, sia in forma indiretta (le detrazioni fiscali, l’uso di immobili, gli spazi televisivi hanno un costo).
Terzo. Nel triennio transitorio (2014-2016), nulla assicura che la decurtazione dei rimborsi elettorali non venga compensata, o addirittura più che compensata, dal meccanismo del 2 per mille.
Quarto. Anche a regime (dal 2017 o dal 2018), nulla esclude che il finanziamento possa essere uguale o superiore a quello previsto dalla legislazione attuale, dovuta al governo Monti (l’articolo 4, anziché fissare un tetto preciso all’uso del 2 per mille, dice che la spesa non potrà superare «XXX», una cifra indeterminata che potrebbe persino essere maggior di quella attuale).
Ecco perché dicevo all’inizio che ho trovato offensivo l’articolo 1 che recita «E’ abolito il finanziamento pubblico dei partiti».
No. Questo disegno di legge prova a ridisegnare una parte del finanziamento pubblico dei partiti secondo nuovi principi (proprio come aveva auspicato Bersani in campagna elettorale), ma non lo abolisce affatto. Berlusconi e Renzi, a parole paladini dell’abolizione totale, devono farsene una ragione. Può anche darsi che alla fine i partiti costino al contribuente un po’ di meno di oggi, ma nulla fa pensare che costeranno molto di meno o che costeranno nulla.
Perciò, una sola preghiera. Cari politici, che quando ci aumentate le tasse vi rifugiate codardamente dietro il verbo «rimodulare», ora che state effettivamente rimodulando il finanziamento dei partiti abbiate almeno il coraggio di non usare il verbo «abolire». Perché abolire vuol dire abolire, abolire, abolire (direbbe Gertrude Stein), e se voi dite «abolire» quando non state abolendo affatto, noi ci sentiamo presi in giro. Insomma, se proprio non riuscite ad avere rispetto per noi, abbiatene almeno per la lingua italiana.
(via La Stampa.it)
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