(via @ItaliaOggi)
8 Febbraio 2013
Monti adotta un randagio …
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7 Febbraio 2013
BerlusCrozza se li mangia tutti
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Ecco il pezzo a mio parere più succoso della serata:
7 Febbraio 2013
Empty, come le tasche degli italiani dopo il governo tecnico
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(via @Microsatira)
5 Febbraio 2013
Dimezzare il Parlamento? No, meglio gli stipendi
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[…] Il secondo motivo è organizzativo: anche i parlamenti si fondano su specializzazione e divisione del lavoro e le commissioni parlamentari istituzionalizzano proprio questa necessità. Non si può voler dimezzare il numero dei parlamentari e pensare che la qualità nello scrutinio delle leggi non ne risenta. Infine, come si evince dai grafici, l’Italia è sicuramente sovradimensionata nei confronti internazionali, ma è tutto sommato in buona compagnia: non c’è dunque nessuna anomalia italiana quanto a numero di parlamentari. Non tale, quantomeno, da giustificare un dimezzamento.
Se si vogliono ridurre le spese, meglio allora sarebbe ridurre gli stipendi anziché il numero dei parlamentari. Come ampiamente dimostrato da più parti, la vera anomalia italiana è l’entità degli stipendi dei parlamentari, non la dimensione del parlamento.
L’ultimo grafico mostra per l’appunto il rapporto fra il salario di un parlamentare e il reddito pro-capite del paese: non credo occorrano molti commenti. Vero è che una riduzione di stipendio potrebbe, in via di principio, comportare problemi di selezione, ossia le persone più preparate, che guadagnano abbastanza al di fuori della politica, potrebbero non trovare conveniente candidarsi. Ma bisognerebbe allora chiedersi se paesi come la Francia o il Regno Unito, con salari dei parlamentari molto più bassi di quelli italiani, abbiano anche una classe dirigente politica che sfigura in confronto alla nostra. Francamente mi pare di no e il motivo, credo, sia da ricercare nella motivazione non strettamente economica che ancora spinge tante persone a occuparsi di politica. Il problema è allora piuttosto quello di rimuovere le barriere all’entrata, di cui il salario non mi sembra la componente più importante. Certo i danni fatti dal Porcellum e dall’assenza di competizione elettorale sono notevoli. Comprensibile, dunque, il bisogno non solo di dimezzare, ma di eliminare totalmente un certo tipo di politici dalle istituzioni. Ma bisogna stare attenti a non buttare via il bambino con l’acqua sporca.
(leggi tutto su lavoce.info)
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3 Febbraio 2013
gratta gratta, sotto il PD trovi sempre il PCI
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Un delizioso articolo su Camillo, il blog di Christian Rocca sul Sole 24 Ore:
L’articolo più incredibile dell’anno, so far
È uscito sull’Unità (sull’Unità!) a firma di Alfredo Reichlin (Alfredo Reichlin!). Il titolo è “Il PD deve vincere come la Dc nel 1948“. Pausa. Incredulità. Non ci credete? È tutto vero.
Questo articolo, questo titolo, questo autore, questo giornale messi assieme valgono più di un trattato politologico, sociologico e antropologico sulla mente comunista e ora post comunista. Ora, per voce di uno dei leader del Pci, rivendicano addirittura la DC e la scelta occidentale, senza sentirsi in dovere di ricordare che loro stavano ferocemente dall’altra parte (e con i soldi dell’Urss). Bella acrobazia. Ancora una volta, non sono le loro posizioni politiche a preoccuparmi. Anzi. È la loro forma mentis. Ha ragione Monti: il PD, questo PD, è nato nel 1921.
(anche sul BLOZ)
3 Febbraio 2013
Sondaggio Swg per Agorà
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(via Sondaggibidimedia.com)
3 Febbraio 2013
Crisi dell’unione monetaria europea: che qualche colpa ce l’abbia anche la Germania?
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Bisogna essere grati a Morgan Stanley, la grande banca d’affari americana, che in un suo studio del 17 gennaio scorso ha distillato i numeri decisivi di quella trappola recessiva che va sotto il nome di euro. Trappola per tutti i cittadini dell’Eurozona, tranne quelli che abitano nel territorio compreso fra Amburgo e Monaco (da nord a sud) e fra Berlino e Colonia (da est a ovest). Perché se è vero che il tasso di cambio ufficiale fra il dollaro e l’euro oscilla attorno a 1,33, il tasso corretto, quello che rifletterebbe le differenze di competitività e di fondamentali economici, è diverso da paese a paese: la Germania dovrebbe cambiare ogni suo euro contro 1,53 dollari, l’Italia invece contro 1,19. In mezzo, fra i tedeschi e gli italiani, ci starebbero tutti gli altri paesi dell’Unione monetaria (tranne la Grecia, che dovrebbe cambiare addirittura a 1,07).
Detto in altre, più comprensibili parole, le esportazioni tedesche corrono grazie a una moneta che è sottovalutata del 13,2 per cento rispetto al suo valore reale, invece quelle italiane restano al palo a causa di una moneta sopravvalutata del 12,1 per cento. Quando la Germania compete con l’Italia sui mercati mondiali, parte con un vantaggio del 25 per cento che dipende da una sola cosa: siamo tutti e due dentro all’euro, che premia loro e punisce noi, e non avendo più una moneta nostra noi italiani non possiamo intervenire autonomamente sul tasso di cambio. Per sfangarla dobbiamo ricorrere alla “svalutazione interna”, cioè alla macelleria sociale fatta di tagli della spesa pubblica, nuove tasse e stipendi bloccati. Col bel risultato che i consumi scendono, il Pil si contrae, il gettito fiscale idem e ci ritroviamo più indebitati di prima.
Se recupereremo un po’ di competitività, servirà solo a pagare interessi sul debito pubblico diventati nel frattempo più onerosi; perché se è vero che i tassi d’interesse sul debito pubblico italiano sono un po’ diminuiti grazie anche all’austerity del governo Monti (ma in realtà grazie soprattutto alla Bce di Mario Draghi e alla sua decisione di acquistare i titoli del debito pubblico dei paesi in crisi sul mercato secondario “senza limiti”), è altrettanto vero che il rapporto debito/Pil si è velocemente logorato: fra il terzo trimestre del 2011 e il terzo del 2012, cioè sotto il governo Monti meno un mese e poco più di governo Berlusconi, siamo passati da un debito pubblico che era pari al 119,9 per cento del Pil a uno che è il 127,3 per cento: 7,4 punti percentuali in più! Quello che abbiamo guadagnato sul fronte dello spread, lo abbiamo perso sul fronte dell’indebitamento in rapporto alla ricchezza prodotta.
Non si era mai visto un deterioramento così cospicuo nel giro di un anno, se non ai tempi della manovra «lacrime e sangue» di Giuliano Amato nel luglio 1992: quell’anno il debito pubblico italiano arrivò al 116,2 per cento del Pil, mentre alla fine del 1991 si era fermato a 106,9.
(leggi tutto su Tempi.it – Rodolfo Casadei)
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2 Febbraio 2013
Monti, i nipoti e le manovre economiche
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(via @Microsatira)
2 Febbraio 2013
Bersani-MPS: destino profondo …
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(via @ItaliaOggi)
13 Febbraio 2013
Antonio Di pietro: Monti ha un cane? Io ne ho tredici …
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(via @chedisagio)