[…] Per capire cosa si dovrebbe fare occorre anzitutto capire cosa non va nel nuovo dispositivo:sostanzialmente tre passaggi. Il primo, il più importante, è che la certificazione di un credito che ha ben più di 60 giorni di anzianità non è necessaria e non si dovrebbe neppure discuterne. Prima di tutto perché la certificazione non è prevista nell’ordinamento dei rapporti commerciali tra privati, è ridicolo che lo sia proprio verso lo Stato. In secondo luogo perché se anche fosse un credito contestato dal debitore pubblico sarebbe stato contestato da tempo, in terzo luogo perché utilizzare un credito contestato (o finto) per procurarsi liquidità dalle banche entrerebbe a pieno titolo nelle violazioni del codice penale (ricorso abusivo al credito) e quindi l’imprenditore se ne guarderebbe bene di utilizzarlo se non intende correre rischi personali.
La prima misura è pertanto l’eliminazione dellaburocratica e farraginosa procedura di certificazione che, con la piattaforma poco digitale predisposta da Consip, toccherebbe 60 milioni di fatture secondo la stima di alcuni operatori specializzati. Un volume spaventoso per il quale il solo input potrebbe richiedere – al tempo di un minuto per fattura – ben 340 anni per essere inserito nel sistema. Si rischia anche il raddoppio del tempo tra input e successiva verifica del Ministero dell’Economia.[…]
[…] Ultima considerazione da professionista che si occupa di credito bancario e imprese in crisi. Senza rimuovere queste barriere rimarrebbe sul campo un mostriciattolo finanziario inutile: le banche compreranno malvolentieri crediti “pro solvendo”, perché sarebbero costrette a staccare nuovi fidi alle imprese, e necessariamente eviterebbero di farlo a quel 40% forse 50% di imprese troppo rischiose, sempre per non consumare troppo capitale.
Sarebbero tagliate fuori dal meccanismo di smobilizzo proprio le imprese più fragili, che sono tali in quanto da lungo tempo creditrici della Pa e indebitate esageratamente con le banche per finanziare lo Stato. Un vero controsenso rispetto alle finalità del provvedimento. Dispiace che queste cose non siano state spiegate dai tecnici al governo, che non è sempre così tecnico. Dispiace che ABI e Confindustria con le loro persone competenti non abbiano spiegato preventivamente agli estensori del decreto cosa serviva e perché. Ora raddrizzarlo è sicuramente più difficile.
13 Aprile 2013
Sos imprese: “Ecco perché non vi pagheranno mai”
territoriarchico debiti-PA, fare-impresa Fare impresa, Spesa pubblica
[…] Per capire cosa si dovrebbe fare occorre anzitutto capire cosa non va nel nuovo dispositivo: sostanzialmente tre passaggi. Il primo, il più importante, è che la certificazione di un credito che ha ben più di 60 giorni di anzianità non è necessaria e non si dovrebbe neppure discuterne. Prima di tutto perché la certificazione non è prevista nell’ordinamento dei rapporti commerciali tra privati, è ridicolo che lo sia proprio verso lo Stato. In secondo luogo perché se anche fosse un credito contestato dal debitore pubblico sarebbe stato contestato da tempo, in terzo luogo perché utilizzare un credito contestato (o finto) per procurarsi liquidità dalle banche entrerebbe a pieno titolo nelle violazioni del codice penale (ricorso abusivo al credito) e quindi l’imprenditore se ne guarderebbe bene di utilizzarlo se non intende correre rischi personali.
La prima misura è pertanto l’eliminazione della burocratica e farraginosa procedura di certificazione che, con la piattaforma poco digitale predisposta da Consip, toccherebbe 60 milioni di fatture secondo la stima di alcuni operatori specializzati. Un volume spaventoso per il quale il solo input potrebbe richiedere – al tempo di un minuto per fattura – ben 340 anni per essere inserito nel sistema. Si rischia anche il raddoppio del tempo tra input e successiva verifica del Ministero dell’Economia.[…]
[…] Ultima considerazione da professionista che si occupa di credito bancario e imprese in crisi. Senza rimuovere queste barriere rimarrebbe sul campo un mostriciattolo finanziario inutile: le banche compreranno malvolentieri crediti “pro solvendo”, perché sarebbero costrette a staccare nuovi fidi alle imprese, e necessariamente eviterebbero di farlo a quel 40% forse 50% di imprese troppo rischiose, sempre per non consumare troppo capitale.
Sarebbero tagliate fuori dal meccanismo di smobilizzo proprio le imprese più fragili, che sono tali in quanto da lungo tempo creditrici della Pa e indebitate esageratamente con le banche per finanziare lo Stato. Un vero controsenso rispetto alle finalità del provvedimento. Dispiace che queste cose non siano state spiegate dai tecnici al governo, che non è sempre così tecnico. Dispiace che ABI e Confindustria con le loro persone competenti non abbiano spiegato preventivamente agli estensori del decreto cosa serviva e perché. Ora raddrizzarlo è sicuramente più difficile.
(leggi tutto su Linkiesta – Fabio Bolognini)
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