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2 Aprile 2013
Trapelato il Memorandum della Troika per i servi di Cipro: e siamo solo all’inizio (Voci dall’estero)
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24 Marzo 2013
Gli errori di Cipro e quelli di Berlino
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Cipro, la cui economia vale lo 0,25% di quella dell’area euro il cui intero sistema bancario è più piccolo dell’undicesima banca tedesca, è diventato una minaccia esistenziale per la moneta unica. Le cifre in gioco sono così insignificanti per l’Europa da rendere chiara la natura politica della scelta tedesca. Angela Merkel ha deciso di non assumersi la responsabilità per gli errori degli altri. Il messaggio è chiaro e diretto (implicitamente) anche all’Italia: chiunque oggi e in futuro richieda un sostegno finanziario, dovrà mettere in gioco una parte della propria ricchezza. […]
[…] Le cifre in gioco sono così insignificanti per l’Europa da rendere chiara la natura politica della scelta tedesca. Angela Merkel ha deciso di non assumersi la responsabilità per il sistema e per gli errori degli altri, o di farlo il più tardi e il meno possibile. Si può non essere d’accordo, rileggere Kindleberger e criticare la corta veduta della cancelliera; ma è difficile trovare altri leader europei che agiscano mettendo in secondo piano i propri problemi elettorali o rinunciando a definire gli altri Paesi sulla base di cliché moraleggianti. L’Italia o la Francia potrebbero desiderare un’altra Germania, un egemone lungimirante, ma è con questa che devono fare i conti. Il messaggio di Berlino è chiaro e diretto (implicitamente) anche all’Italia: chiunque oggi e in futuro richieda un sostegno finanziario, dovrà mettere in gioco una parte della propria ricchezza. Il puntiglio con cui la Bundesbank sottolinea che i patrimoni pro capite degli italiani sono più elevati di quelli dei tedeschi può sfiorare la provocazione e l’irresponsabilità, adesso che in un altro Paese dell’area i risparmiatori assaltano gli sportelli per portare i loro soldi altrove. Ma il senso è inequivocabile. […]
(via Corriere della Sera – Federico Fubini)
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25 Febbraio 2013
Europa: dove i paesi ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri (grazie euro!)
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[…] Guardate: mettiamo a confronto la produzione industriale italiana e tedesca in periodi di cambio fisso e cambio variabile. Osservate il miracolo prodotto dall’uscita dallo SME, tra il 1992 e il 1996, sulla forbice tra i due dati, e poi come la forbice si sia allagata nuovamente a nostro svantaggio dal 1999 in poi, proprio con l’entrata dell’euro.
Invece di portare ad una maggiore coesione l’euro ha diviso e separato gli stati membri nel classico schema che vede i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Per vedere un cambiamento in questo trend sono necessarie riforme che non vedremo mai, non stiamo parlando di alzare l’età pensionabile di un paio d’anni o una maggiore facilitazione ai licenziamenti. Qui sarebbe necessario ridurre la spesa pubblica licenziando da un 20 ad un 40% degli impiegati statali e il costo del lavoro dovrebbe scendere di un altro 20% in relazione al costo unitario tedesco, ci sono zero possibilità che queste riforme vengano mai realizzate.
La triste verità è che non è possibile mantenere un tasso di cambio fisso tra nazioni che hanno differenti tassi produttivi di crescita, differenti sistemi sociali e differenti accordi politici. Niente potrà mai cambiare questa realtà.
Ancora zerohedge, ci dice chiaramente che non potendo svalutare la propria moneta, la maggior parte dei paesi europei avrà bisogno di vedere salire la disoccupazione e crollare i salari tra il 30% (Italia, Spagna e Francia) e il 50% (Grecia e Portogallo) per ottenre un riequilibrio macroeconomico con la Germania e per essere “competitivi”. […]
(leggi tutto su ilContagio.it)
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16 Febbraio 2013
Claudio Borghi: come si esce dall’euro?
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Dai, che si può! Su, su, prima che sia troppo tardi.
3 Febbraio 2013
Crisi dell’unione monetaria europea: che qualche colpa ce l’abbia anche la Germania?
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Bisogna essere grati a Morgan Stanley, la grande banca d’affari americana, che in un suo studio del 17 gennaio scorso ha distillato i numeri decisivi di quella trappola recessiva che va sotto il nome di euro. Trappola per tutti i cittadini dell’Eurozona, tranne quelli che abitano nel territorio compreso fra Amburgo e Monaco (da nord a sud) e fra Berlino e Colonia (da est a ovest). Perché se è vero che il tasso di cambio ufficiale fra il dollaro e l’euro oscilla attorno a 1,33, il tasso corretto, quello che rifletterebbe le differenze di competitività e di fondamentali economici, è diverso da paese a paese: la Germania dovrebbe cambiare ogni suo euro contro 1,53 dollari, l’Italia invece contro 1,19. In mezzo, fra i tedeschi e gli italiani, ci starebbero tutti gli altri paesi dell’Unione monetaria (tranne la Grecia, che dovrebbe cambiare addirittura a 1,07).
Detto in altre, più comprensibili parole, le esportazioni tedesche corrono grazie a una moneta che è sottovalutata del 13,2 per cento rispetto al suo valore reale, invece quelle italiane restano al palo a causa di una moneta sopravvalutata del 12,1 per cento. Quando la Germania compete con l’Italia sui mercati mondiali, parte con un vantaggio del 25 per cento che dipende da una sola cosa: siamo tutti e due dentro all’euro, che premia loro e punisce noi, e non avendo più una moneta nostra noi italiani non possiamo intervenire autonomamente sul tasso di cambio. Per sfangarla dobbiamo ricorrere alla “svalutazione interna”, cioè alla macelleria sociale fatta di tagli della spesa pubblica, nuove tasse e stipendi bloccati. Col bel risultato che i consumi scendono, il Pil si contrae, il gettito fiscale idem e ci ritroviamo più indebitati di prima.
Se recupereremo un po’ di competitività, servirà solo a pagare interessi sul debito pubblico diventati nel frattempo più onerosi; perché se è vero che i tassi d’interesse sul debito pubblico italiano sono un po’ diminuiti grazie anche all’austerity del governo Monti (ma in realtà grazie soprattutto alla Bce di Mario Draghi e alla sua decisione di acquistare i titoli del debito pubblico dei paesi in crisi sul mercato secondario “senza limiti”), è altrettanto vero che il rapporto debito/Pil si è velocemente logorato: fra il terzo trimestre del 2011 e il terzo del 2012, cioè sotto il governo Monti meno un mese e poco più di governo Berlusconi, siamo passati da un debito pubblico che era pari al 119,9 per cento del Pil a uno che è il 127,3 per cento: 7,4 punti percentuali in più! Quello che abbiamo guadagnato sul fronte dello spread, lo abbiamo perso sul fronte dell’indebitamento in rapporto alla ricchezza prodotta.
Non si era mai visto un deterioramento così cospicuo nel giro di un anno, se non ai tempi della manovra «lacrime e sangue» di Giuliano Amato nel luglio 1992: quell’anno il debito pubblico italiano arrivò al 116,2 per cento del Pil, mentre alla fine del 1991 si era fermato a 106,9.
(leggi tutto su Tempi.it – Rodolfo Casadei)
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18 Dicembre 2012
Svezia: euro? No, grazie. Un’opposizione da record
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(via Forexinfo.it)
6 Dicembre 2012
cambiare moneta: il ruolo delle aspettative nella gestione del processo – Claudio Borghi
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12 Novembre 2012
previsioni orrendamente sbagliate della Commissione Europea sui dati di crescita della Grecia
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Previsioni e consuntivo della Commissione Europea riguardanti i dati di crescita della Grecia. La Baldracca Europea
(via Rischio Calcolato)
10 Maggio 2013
ce lo chiede l’europa …
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