[…] Cosa significa austerity? Nel gergo comune: tagli della spesa.
Ma è davvero così? Cosa è successo negli ultimi tre anni?
Per vederci bene è essenziale studiare l’andamento della cosiddetta spesa pubblica (Government expenditure in inglese) e quello del PIL.
I paesi che hanno avuto un decremento maggiore della spesa pubblica rispetto al PIL, hanno avuto una discesa dell’incidenza della spesa pubblica sul PIL. Dei quattro PIGS solamente il Portogallo ha denotato questa situazione con una decrescita della spesadi quasi il 12 per cento a fronte di una caduta del PIL del 4,3 per cento.
Cosa è successo invece in Italia, Spagna e Grecia. Nel nostro paese a fronte di un PIL in crescita dello 0,9 per cento in tre anni – situazione da stagnazione – le spese sono cresciute dell’1,3 per cento. In Italia non ci sono segni di austerity dunque o almeno così dicono i dati. Può darsi che ci sia stato un riequilibrio della spesa tra i diversi settori dell’economia gestita dallo Stato.
Lo stesso è successo in Spagna con un PIL in crescita di solo lo 0,1 per cento e delle spese cresciute invece dell’1,6 per cento. Ben diversa è la situazione greca, dove in effetti le spese sono scese del 7 per cento, mentre il PIL è caduto del 12,8 per cento. Una situazione tragica per la Grecia, che nonostante un taglio della spesa ha visto la propria economia avvitarsi in una recessione quasi senza fine.
Certo bisogna ricordare che la spesa per il debito è cresciuta, ma anche questa è una scelta deliberata delle politiche pubbliche. Arrivare al 127 per cento del debito sul PIL in Italia è una scelta intergenerazionale. Significa semplicemente che le generazioni attuali stanno spendendo di più di quanto possono e faranno ricadere le “colpe” del debito sui giovani e sulle prossime generazioni.
La parola austerity, che ha molto attecchito tra molti attori politici, sociali ed economici non sembra che si possa tradurre in italiano in Austerità. La spesa pubblica è aumentata arrivando ormai ad intermediare oltre il 60 per cento dell’economia.
Senza riforme, riforme e tagli degli sprechi dove vogliamo arrivare?
(via Chicago-blog.it)
28 Luglio 2013
il partito della spesa pubblica ‘a cui nessun governo può resistere’
territoriarchico spesa-pubblica, taglio-spesa-pubblica Economia e Finanza, Spesa pubblica
[…] C’è il forte sospetto che sia ormai inutile continuare a ripetere, come facciamo da anni, la solita litania: «Bisogna ridurre la spesa pubblica al fine di abbassare le tasse e rilanciare così la crescita».
Il partito della spesa pubblica non ha alcun interesse alla crescita perché non può accettare che spese e tasse scendano. Fino a oggi, quel partito si è rivelato fortissimo, imbattibile. Ci sono due possibili spiegazioni, non necessariamente incompatibili fra loro, di tale imbattibilità. La prima ha a che fare con le «quantità» e la seconda con la «qualità». La spiegazione quantitativa dice che i numeri sono a favore del partito della spesa pubblica: coloro che vivono di spesa sopravanzano ogni altro gruppo e rappresentano, sul piano elettorale, una «minoranza di blocco» ai cui veti nessun governo, quale che ne sia il colore, può resistere. La spiegazione qualitativa fa riferimento all’esistenza di «cani da guardia», di istituzioni strategicamente collocate che si sono assunte il compito di salvaguardare gli interessi facenti capo al partito della spesa pubblica. Per esempio, guardando a certe sentenze della Corte costituzionale, si può essere colti dal sospetto che sia addirittura «incostituzionale» ridurre la spesa pubblica (e quindi le tasse), ossia che, per il nostro ordinamento, quelle due grandezze possano solo crescere, mai diminuire. Più in generale, c’è una intera infrastruttura amministrativa (alta burocrazia, magistrature amministrative) che regge e dà continuità alla azione dello Stato, che sembra chiusa a riccio nella difesa di un equilibrio politico e sociale fondato sulla incomprimibilità della spesa e su tasse altissime. La debolezza della politica fa poi il resto, rende impossibili interventi capaci di vincere le resistenze burocratiche e lobbistiche e invertire la rotta. […]
(leggi tutto Corriere.it – Angelo Panebianco)
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